L’ultimo libro di racconti dell’artista Nicolò D’Alessandro sarà presentato il 15 novembre alle ore 18 al cinema Di Francesca di Cefalù nell’ambito degli “Incontri d’autunno”, la rassegna curata da Giovanni Cristina e Franco Nicastro. D’Alessandro è conosciuto per la sua intensa attività grafica: ha all’attivo numerose mostre ed è autore del disegno più lungo del mondo, “Valle dell’Apocalisse”, un’opera di 83,50 metri e alta un metro e mezzo. I suoi disegni sono apparsi in numerose pubblicazioni, libri e nell’edizione siciliana di Repubblica.
All’attività artistica D’Alessandro unisce quella letteraria. L’ultima sua opera, “La cantatrice muta e altri racconti”, edita da Medinova, è una raccolta di storie tra il fantastico e il surreale. Con l’autore dialogheranno Teresa Triscari e Franco Nicastro. Nel programma della serata sono previsti un commento musicale di Franco Restivo e letture di Enzo Giannone.

La presentazione di Teresa Triscari: Il coro muto di D´Alessandro

Non é facile parlare di una personalità composita e poliedrica come quella di Nicolo´ D´Alesssandro, artista, scrittore, critico d´arte, conoscitore di culture straniere; persona impegnata politicamente e nel sociale; intellettuale attivo, sin dagli anni Sessanta, nel dibattito culturale; autore, solo in quest´ultimo anno, di ben tre libri: “La favola del persiano guerriero”, “Carezza” e “La cantatrice muta e altri racconti”.
“La Cantatrice muta”.
Storie, storie del vissuto; storie di fatti di cronaca narrate, a volte, tra ironia e sogno, tra realtà e fantasia; con peregrinazioni nel surreale. Ma sempre pensate e soppesate.
Dodici racconti che tracciano la geografia del disagio, ma anche della semplicità quasi primordiale, della nudità dell´essere, e, pur tuttavia, della gaiezza che, paradossalmente, è spesso compagna di strada della povertà. Storie che si dipanano tra Santa Elisabetta, un minuscolo paesino dell´entroterra agrigentino, e Palermo disegnando un itinerario di ricordi e di ritrovamenti di brandelli di vita ancora carichi di sentimenti ma delinea anche la mappatura dei problemi umani e delle atrocità delle mafie legate a certi raccapriccianti traffici internazionali.
Dall´entroterra agrigentino a Palermo; da ieri a oggi, la realtà difficile e miserevole, inquieta e grottesca dell´ incomunicabilità e della prevaricazione rimane una costante. Rimane il silenzio. Eppure, paradossalmente, è proprio con il silenzio che si comunica come la cantatrice muta, come la guardatrice dell´acqua, come “ínnamorato di un´alga”, come la stessa “ciavola”. Quelli che non comunicano sono proprio i verbosi, gli esagitati come il barone Cachia, come Claudio, il protagonista delle “Ore sette e venti”, come i commensali del racconto “La seppia”.
Il rifugio, pertanto, è sempre lì, nella trasparenza dell´acqua che, tremolando e formando tanti cerchi, si trasforma lentamente in carta e in segno grafico: segno o scrittura? o l´uno e l´altro?
Di fatto, non saprei parlare di D´Alessandro scrittore senza avere sotto i miei occhi i suoi disegni che sanno tanto di quel grafismo e calligrafismo tipico degli artisti del Quattro- Cinquecento.
Non saprei parlare di D´Alessandro saggista senza pensare ai drammi ancestrali della Sicilia, a quel concetto di sicilianesimo, sicilianità e sicilitudine di cui ci parla Sciascia; non potrei parlare di D´Alessandro senza andare con la mente al “Meriggiare pallido e assorto”di un Montale o a certi canti di Terre lacerate e laceranti come “Amara terra mia” e “Creuza de ma´”.
Eppure i suoi racconti hanno sempre un andamento leggero, tra fantasia e sogno, tra mito e bellezza. Sono disegnati, stilizzati, più che scritti. Sono tappe di una sorta di nomadismo poetico. E il dolore è spesso superato con il sorriso di una sottilissima ironia.
Sono racconti disegnati, dicevo, e, nella composizione delle linee si cela sempre un palcoscenico dove i personaggi si assiepano tutti lì, ancora da allora, in cerca d´autore.
E, al di sopra tutto, coro nel coro, la cantatrice muta che, nel corso di una festa di matrimonio, tanti anni fa, in un paesino dell´entroterra agrigentino, si alza lentamente tra gli invitati, si avvicina all´orchestrina mentre tutti le fanno spazio e Il musicista inizia a suonare facendole cenno con la testa che può iniziare …. Non parole escono dalla sua bocca, ma sillabazioni mimate: è un canto muto, una danza di parole in libertà alla Marinetti, parolibere soffiate, tutta una gestualità segnica, una mimica che si estende ed espande a tutto il suo essere, che la vede cingersi con le braccia e avvitarsi su se stessa come in una elegantissima “danza del cigno”.
Siamo solo all´inizio, ma, alla fine del libro, ci accorgiamo che D´Alessandro ha dato voce a un mondo di muti: muta è la cantatrice; muto è il bambino amico de “La ciavola”; muta è “La guardatrice dell´acqua”; muto è persino il protagonista di “Alle ore sette e venti”; muti sono tutti coloro i quali subiscono le telefonate di certe persone che parlano solo loro. E quando qualcuno parla, sarebbe meglio che tacesse come la moglie testarda de “La seppia” che viene affogata in un pozzo, o come la bambina cocciuta che viene derisa.
Muti, un mondo di muti. Muta è la stessa compagna dell´autore che tollera…tollera… fa finta di nulla. Finzione o amore? o missione civile? O subdola costrizione? Ne vogliamo parlare?
Muti? Oppure un mondo dell´incomunicabilità?
Ci sono anche i sordi come quella figura goffa del barone Cachia in “Cavallette ad Agrigento” e degli altri nobili e nobilastri che compaiono a poco a poco di qua e di là …. cavallette anche loro. Ma l´esito è lo stesso: se non si sente non è possibile comunicare. Poi, nel corso della lettura, ci si accorge che, in questa pletora di diversi, nessuno è cieco, e ciò è ancora più frustrante perché vedere e non potere (o non sapere) raccontare è di per sé lesivo della propria dignità.
Non ci sono voci nel mondo che ci presenta D´Alessandro, eppure è un mondo vivo e vivido dove ci sono odori e sapori, fragranze e colori, ricordi di piaceri e piacevolezze ancestrali.
Ed è proprio qua che avviene il miracolo dell´artista che, a un certo punto, si sostituisce allo scrittore. Ricordo, a tal proposito, che il grande Alberto Savinio superava i drammi del vuoto con la musica. Allo stesso modo D´Alessandro supera l´horror vacui della comunicazione con la parola gettata nell´acqua e poi ripresa sulla carta. Che poi, è anch´essa musica.
E´ a questo punto che si crea una felice sintesi tra arte, scrittura e musica che è poi il linguaggio universale che si alza al di sopra del silenzio dei Vinti di verghiana memoria, come una mano, tante mani, in cerca di aiuto.
Ed è proprio su queste mani imploranti che si cala impietosamente il sipario.