Appello del Vescovo Giuseppe. Eritrei a bordo della “Diciotti”: occasione d’incontro con Cristo

Il Vescovo accoglie una nutrita schiera di rifugiati.
Ero affamato, ammalato, prigioniero, forestiero e siete venuti a darmi da mangiare, curarmi, ospitarmi, visitarmi.
Mt 25, 35
Eccola un’altra occasione di incontro con Cristo. È lì attraccata al porto di Catania. Un’occasione da non perdere. Perché su queste azioni saremo giudicati e non possiamo dire: “Avevo da fare, ero distratto, ho diritto alle vacanze, per non pensare e non impegnarmi”. Dobbiamo essere cristiani veri e ciò vuol dire tornare ad essere “umani”. E non è solo questione di giustizia, ma dare ospitalità e accoglienza è crescere nella fede: questo è l’amore. Come Chiesa viva, allora, apriamo le porte della nostra Diocesi. Abbiamo case e istituti religiosi vuoti, anche in buone condizioni. Ottimi per dare accoglienza a questi nostri fratelli. Mettiamo in pratica il Vangelo di Gesù.
Come Chiesa presente in Sicilia, che per la sua posizione geografica si trova al crocevia delle rotte del Mediterraneo, dobbiamo saper essere vigili, ascoltare le richieste di aiuto da parte di chi soffre ed essere accoglienti. Concretamente. Dobbiamo essere “in prima linea”, tutti presenti al porto di Catania, per ricevere il Signore Gesù che viene a visitarci con il volto dei 150 eritrei tenuti prigionieri nella nave “Umberto Diciotti”. L’ospitalità deve essere intelligente, dobbiamo coinvolgere l’Europa, dobbiamo pendere tutte le precauzioni necessarie.
E questo è vero. Dobbiamo andare alle radici del fenomeno dell’immigrazione. Ma cosa vi è alle radici, lo sappiamo bene: decenni di sfruttamento dell’Africa da parte dell’Europa, azioni che hanno portato a depredare le immense ricchezze del sottosuolo di quei popoli oggi affamati e in guerra, alla mercé di dittatori senza scrupoli. In particolare i 150 immigrati della “Diciotti” vengono quasi tutti dall’Eritrea, un Paese tra i più poveri tra i poveri, governato da una dittatura brutale che pone quella popolazione nella scelta tra morire in patria o rischiare di morire nel viaggio della speranza, per raggiungere parenti e connazionali soprattutto nel Nord Europa.
Siamo cristiani e dobbiamo seguire Cristo che bussa alla nostra porta. Dobbiamo impegnarci con intelligenza e prudenza, ma anche con coraggio e profezia. Oggi ancora non si vedono soluzioni a livello politico europeo. Ma la Chiesa è viva e pronta: cominciamo a liberare i 150 nostri fratelli della nave trasformata in una prigione, chiediamo solidarietà e prendiamoci le nostre responsabilità, mettendo in campo tutte le nostre forze per far vivere attraverso il nostro impegno la creatività dello Spirito Santo.
(diocesidicefalu.org)
Redazione

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