Cefalù, presentazione del libro di Teresa Triscari “C’era una volta… e c’è

Organizzata da BCsicilia, dal Comune Cefalù, dall’Associazione Premio Elsa Morante, dal Comune Palermo e dagli Amici Cinema di Francesca, si terrà martedì 10 luglio 2018 alle ore18,30 presso la Storica sala del Cinema Di Francesca a Cefalù, la presentazione del libro di Teresa Triscari “C´era una volta…e c´è ancora”. Edizione tracce. Interverranno Nicolò D’Alessandro, artista e scrittore, Marzia Cristina, lettrice, Enzo Giannone, dicitore. L’iniziativa si tiene nell´ambito della rassegna “Incontri d’estate 2018” curata da Giovanni Cristina e Franco Nicastro e sotto l´egida di “Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018” che l´ha inserito nella sua programmazione culturale con il fregio “Nel segno delle culture”.
Dieci storie che nascono dall´esigenza dell´autrice di dar voce a un patrimonio di vita acquisito durante una professione svolta principalmente all´estero.
Ma nascono anche dal convincimento che la Storia va raccontata in modo semplice, discorsivo. Gli esempi non mancano: Benigni, ne “La vita è bella”, narra la storia della deportazione di un bambino ad Auschwitz; Charlie Chaplin, ne “Il Monello” riporta la sua stessa storia di orfano “lasciato” per due anni in un orfanotrofio; Elsa Morante ne “La Storia” descrive fatti di persecuzione, privazione e violenza che lei stessa aveva vissuto, ma sempre con la leggerezza della poesia. Useppe sembrerebbe un´invenzione e invece è un bambino della Storia, come Elsa che portava il nome di un padre che non era il suo e che, nella realtà, era un diverso.
Nel prologo l´autrice ricorda Calvino, Sepulveda, Rodari e la stessa Morante, scrittori che hanno sempre posto l´accento sulle problematiche sociali, civili, politiche pur raccontando storie allettanti, a volte persino divertenti; pur trattando temi difficili come quello del diverso che, in Sepulveda prende i panni di un gatto che cova l´uovo di una gabbianella facendo, di fatto la parte di un uccello e, per giunta, della femmina; lui, gattone bellimbusto.
E, in queste storie, i diversi sono un po´ tutti: dall´“Albero delle due P”, che apre il libro e che è un essere antropomorfo; alla Sirenetta; ai vari ermafroditi e gay che si celano sotto le sembianze di ninfe; ai bambini abbandonati, anche loro diversi, che ci raccontano il loro bisogno di esistere, di raccontare e raccontarsi.
Di fatto il materiale umano è tutto qua, tra di noi, tra i nostri anziani, spesso emarginati, dimenticati, oggetto di vergogna; tra i nostri bambini, non di rado trascurati, mal sopportati, se non abbandonati e persino sfruttati, mezzo di commercio, cavie per esperimenti, come succedeva nella Romania di Ceausescu o ad Auschwitz nel periodo nazista, per non citare i tanti Paesi, anche europei, di oggi.
Bambini che vivono e convivono con realtà fatte di continue frustrazioni; creature sempre in cerca della loro mamma; innocenti che devono tollerare espressioni come “utero in affitto” e “madre surrogata”; piccoli che cercano sempre gli arcobaleni come diceva Charlie Chaplin. L´autrice, quella citazione di Chaplin sugli arcobaleni, l´ha messa ad epigrafe del racconto “La bambina dei palloncini” dove c´è sì fantasia ma c´è tanto stimolo a crescere, ad andare in su, sempre più in su, come i palloncini.
Ma, soprattutto, l´arcobaleno l´ha posto sulla copertina del libro che, di fatto, si presenta con un falso indizio dando l´impressione che si tratti di fiabe ed invece racconta storie, dove dramma e felicità spesso si fondono e si confondono. Come sempre nella vita.
Le dieci storie si snodano essenzialmente su tre filoni: la problematica politico-sociale (lotte agrarie nella Sicilia degli anni ´50); problematica sociale del diverso; problematica ambientale. Non a caso Il libro si apre con una storia di un albero antropomorfo (“L´albero delle due P) e si conclude con “I leagan”, storia dell´abbandono nella Romania di Ceausescu.
Molti di quei bambini, adottati poi, hanno cercato l´autrice credendo addirittura che lei potesse essere la loro mamma naturale. Dunque, quei piccoli non associavano un aspetto laido, perverso o deviato e deviante a chi li aveva abbandonati. E questo ha certamente un significato.

redazione

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