«Sin dall’epoca normanna Cefalù viene definita terra d’incontro tra i popoli, luogo privilegiato di sostentamento dei poveri e di quanti vi transitano. Uno dei tratti distintivi che caratterizza la Chiesa di Cefalù è lo spirito di carità». Così il neovescovo di Cefalù, mons. Giuseppe Marciante, nella sua prima lettera ai fedeli della diocesi a lui affidata.
Una tale definizione richiama l’idea di una città di Cefalù “fuori le mura” diversa da quella attualmente viva dentro le mura. Ma Cefalù, come tutte le città che hanno avuto una storia prestigiosa come la sua, ha –secondo il prof. Steno Vazzana – di fatto una doppia personalità: «l’una è negli uomini, l’altra nelle cose. La prima, sbiadita o marcata, è variabile nel tempo… . L’altra personalità, più aperta e senza limiti di spazio e di tempo, ha una fisionomia ben definita o storicamente o artisticamente o anche panoramicamente». Una personalità che non può essere modificata, essendo quella universalmente riconosciuta.
Questa fisionomia, che è quella connota di natura storia e arte, «chi viene a Cefalù – dice ancora Steno Vazzana – per darvi più che una rapida occhiata, se la porta nel cuore, …, come un acquisto per sempre». Proprio come è accaduto al Vescovo Giuseppe. Il quale, venuto nel 2012 in pellegrinaggio a Gibilmanna, ha acquistato e fatto sua (ormai veramente per sempre) tale fisonomia della nostra città, legata soprattutto – come è ovvio per un ecclesiastico – alle immagini dei suoi potentissimi Protettori, ai quali egli si rivolge, prima di mettere piede qui in veste di Pastore, per invocare la protezione sulla comunità cittadina e dell’intero Circondario della Madonie.
Il che fa cadere, nel credente, ogni ipotesi di là dall’ispirazione dello Spirito Santo al Pontefice di Roma per una scelta che appare diretta ad una persona identificabile con quel visitatore «che, varcata per la prima volta la soglia del duomo, appena si affaccia sulla navata centrale,…, si sente prendere lo sguardo e guidare da quell’avanzata di colonne immediatamente verso il presbiterio. E da lì, mentre tutto lo spazio presbiteriale rimane indefinito, incorporeo, il Cristo, solo e distante, solo e immenso, presenza unica e totale, gli lampeggia il suo limpido sguardo di Dio» (S. Vazzana, Cefalù fuori le mura).
Quale ci sembra di essere avvenuto al nostro Vescovo, dato che dalla stessa luce vuol farsi guidare nell’esercizio del suo pastorale ministero: «Vi chiedo carissimi – egli dice – di unirvi alla mia preghiera perché io e voi, insieme, ci lasciamo condurre da quella Luce gentile che si irradia dal volto luminoso del bel Cristo Pantocratore della nostra Cattedrale». Nella consapevolezza anche di assumere un ministero di valenza storica, come si evince dal richiamo alla terra di Cefalù “come punto di incontro tra i popoli” . Cosa riferibile di più proprio all’ epoca della dominazione normanna, da Ruggero II fino al regno Federico II di Svevia, quando la Sicilia – vera potenza nel Mediterraneo – era un punto di convergenza di popoli e di culture. Quale lasciano intravedere anche le opere d’arte oggi patrimonio dell’umanità sotto l’egida dell’Unesco. Un contingenza, questa, in cui Cefalù, per la determinazione di Ruggero nel suo Diploma dell’anno 1145, che proprio nella cattedrale da lui voluta e fatta edificare aveva fissato il luogo della sua dimora eterna, veniva assunta a capitale morale del regno.
Questo si legge, infatti,: «Abbiamo stabilito che saranno destinati a restare nella predetta Chiesa come segno imperituro della mia dipartita due ragguardevoli sarcofagi di porfido, in uno dei quali, prossimo al coro dei canonici salmodianti, ivi composto io possa riposare dopo la fine del mio giorno».
Nel medesimo Diploma si legge anche l’animus di Ruggero nella volontà di «costruire una dimora ad onore del nostro Salvatore e di elevare un tempio a gloria di colui che ci ha concesso onore e ha insignito il nostro nome con la gloria regia; dare al quale equivale a ricevere una ricompensa centuplicata e, dopo la morte, meritare la vita eterna». Sulla stessa linea il pensiero del Vescovo, il quale, nel delineare implicitamente, nella frase da noi riportata all’inizio, il programma del suo ministero, parte proprio dal ricordo dell’epoca dei normanni perché Cefalù sia punto d’incontro tra i popoli.
C’è questo nel programma che traluce dalla sue parole. Come il sogno di una Cefalù “luogo privilegiato di sostentamento dei poveri e di quanti vi transitano”. Che sembra la sintesi di quel «concediamo ai cittadini di Cefalù, che sempre nel medesimo luogo, Dio permettendo, risiederanno, nonché ai loro eredi, di vivere lontani da ogni turbamento e sollecitazione della nostra Curia e di essere esentati da attività militare per mare e per terra; e di non dovere alcun tributo in ingresso o in uscita da Cefalù via mare o via terra. E anche che possano procurarsi senza alcun onere il legname utile alla costruzione delle proprie case e alle altre loro necessità domestiche».
Il Vescovo venturo è pienamente consapevole del compito che lo aspetta e determinato a non demeritare difronte alla storia e alla fede. La stessa consapevolezza egli immagina tra gli individui del suo gregge. Sta a quest’ultimo dimostrare di non avere smarrito, nel contesto di secolarismo capillarmente diffuso, il senso della propria identità spirituale e morale, né di avere permesso il mutamento del DNA della città di Cefalù come prestigiosa meta di turismo culturale.

Giuseppe Terregino