Si è concluso giorno 29, il quarto appuntamento di due intensi weekend che ha visto “In scena” lo spettacolo-laboratorio sperimentale “qualcuno ha visto Van Googh” percorso nato dentro un laboratorio itinerante è che ha trovato la sua naturale dimora, in una casa . Il palcoscenico non era infatti un teatro, ma una abitazione privata, una stanza che diviene per l’occasione palcoscenico e le stanze “anticamera di attesa” di qualcosa di particolare, un teatro partecipato per l’appunto dove non ci sono poltrone sontuose, ma tappeti, non c’è sipario, ma contatto. Ancora una volta la “regista bambina” cosi l’ho battezzata Francesca Vaccaro , mette in scena uno spettacolo introspettivo che cerca di aprire brecce nei meandri spesso contorti dell’animo umano, “regista-bambina” nasce non certo per l’età, ne per la tipologia di azione ed intenti, quanto per la spontaneità e tenerezza , dove tuttavia nulla è lasciato al caso, con cui con poco a disposizione, la regista riesce a costruire immagini, scene di forte impatto emotivo, tenendo lo spettatore in un stato di “allerta” permanente in cui ti domandi continuamente attimo, per attimo : “cosa accadrà ora?” Volano i pensieri, volano le emozioni, parlano sempre i corpi e poche parole, il resto è lo spettatore che deve riuscire a cogliere. Il teatro della Vaccaro o lo ami o lo odi. Perchè un teatro in una stanza? Spiega la Vaccaro, per un bisogno di uccidere le distanze dei palchi polverosi e di entrarci dentro, di sentire i vostri sguardi e sospiri, commossi o delusi, ed una casa tutto questo lo può offrire. Qualcuno ha visto Van Googh, è un viaggio ancora una volta nella vita umana, quella macchiata dalla follia, quanti hanno apprezzato i dipinti del maestro, ma non sanno nulla del suo percorso di vita, era un pazzo qualcuno può dire, si tagliò per sino un pezzo d’orecchio, in un momento di piena follia, domandolo dentro un pezzo di carta ad una prostituta che spesso frequentava, ma nessuno conosce i suoi travagli e tormenti ben descritti nelle lettere epistolari col fratello Theo, che tanta influenza ebbe nella sua vita. In quelle lettere Van Gooh raccontava i suoi dipinti, racconta i colori della forza e della paura. In scena i travagli del pittore-uomo alla ricerca di un’abbraccio, un uomo che immaginava il percorso di vita, come una via sempre in salita, ma come lui stesso scrive, afflitto, ma lieto al contempo, scrive nelle sue lettere “ho preferito la malinconia che spera, alla malinconia che uccide, l’arte della vita, piuttosto che l’accademia amante”. Forse in quest’ultima riflessione la Vaccaro si sente molto vicina, un teatro vero, meno accademico, dove semplici lampadine diventano le luci di scena, la voce scandisce l’entrata ed uscita degli attori, lo spazio tra gli attori ed il pubblico riempito dai respiri che senti. Dopo avere visto lo spettacolo due le reazioni o continui a pensare che il pittore era un folle, o pensi “se dovessi incontrarlo, lo abbracceresti, ” bene, quanti Van Googh abbiamo incontrato nella nostra strada?, tanti…….alla nostra sensibilità, la capacità di andare al di là del primo sguardo, se riuscissimo a fare questo impareremmo ad essere più umani. Un plauso agli attori “non attori” : Tommaso Gioietta, Simona Seidita,Simon Cipolla, Rosanna Vassallo.