Chiude il Teatro Ditirammu

Tutto è iniziato a Mozia, un piccolo isolotto di cui il primo antenato di Papá era il proprietario. Poi la compró Whitaker, e noi tornammo sulla terra ferma. Il prozio ideó il Teatro Garibaldi e chi venne dopo fondó il primo gruppo folk siciliano “La Conca d’Oro”. Mentre la sera a cena, tra canzoni e poesie, si ospitavano personaggi come Giuseppe Pitré e cosí via fino ad arrivare ai giorni nostri. La Famiglia Parrinello con in testa Vito, la sua amata Rosa e i figli Elisa e Giovanni.
Mille viaggi, canti musiche e danze della nostra terra ricercati e raccolti per tanti anni e raccontati in tutto il mondo: Nuova Zelanda, Cina, America, non basterebbe un giorno a dirli tutti. Negli anni ’90 non si poteva fare più questa vita, dovevano essere più costanti a scuola e mamma accusava un po’ di stanchezza. Era il 1995 quando papà decide di costruire il Teatro Ditirammu nello storico quartiere Kalsa a Palermo.
Oggi questo luogo é diventato un tempio della cultura popolare siciliana e fucina delle nuove generazioni, e chissà per quanto potrebbe dare questa speranza alla città. Lo dite voi, il Financial Times, lo dice il primo cittadino di Palermo, anche su Google c’è scritto.
Purtroppo questo non basta, negli ultimi anni pur di dare la giusta dignità agli artisti, ai dipendenti, alle migliaia di turisti che ogni giorno vengono a farci visita, e alle nuove generazioni, utilizziamo le risorse economiche di famiglia. Anche se questa è stata una nostra scelta, va bene fino ad un certo punto.
Quando nostro padre sedeva per ore ad aspettare il politico di turno, capitava pure che dopo ore di attesa neanche lo ricevessero, sai che rabbia. “Al diavolo, vado con i ragazzi della LapaTeatro a fare cappello, loro guadagnano qualcosa e io sono il nonno piú felice del mondo, altro che politica, affitto, tasse ed F24”. Ci diceva sempre: “Io volevo solo suonare la chitarra e sentire vostra madre cantare”.
Proprio in quel momento, realizza e scrive su una lavagna in ufficio:
“1 OTTOBRE 2017 QUELLO CHE DOVEVO FARE L’HO FATTO”.
Non si riferiva ad una singola questione, era stanco, la libertà e le aspirazioni artistiche dei suoi figli sono sempre state più importanti di un luogo fisico, anche se si parla del fiore all’occhiello di famiglia. Troppo stanco, troppa politica, anticamera e cose che con l’arte e il sentimento non c’entrano proprio nulla. E allora facciamo quello che pensava di fare Papà, sospendiamo tutte le attività del Ditirammu: magari è vero Palermo non ha bisogno di noi. Troppa bile, qui rischiamo davvero la pelle, arte a costo della vita? No grazie.
Innanzitutto non riusciamo a sostenere i costi del Teatro. Non è una guerra alla pubblica amministrazione, alla quale tuttavia chiediamo coerenza rispetto alle tante e univoche espressioni di stima e riconoscimento dell’alto valore del Ditirammu, per la città e la cultura siciliana.
Spetta alla pubblica amministrazione trovare i modi per trasformare questo apprezzamento in sostegno e decisioni concrete che mettano in condizioni di vivere questo “Canto Museo Teatrale”.
Al nostro pubblico, agli amici, ai tanti artisti, agli assistenti ai collaboratori agli allievi, e alle nostre famiglie, chiediamo di starci vicino ora più che mai, tenere alta la tensione e l’attenzione sulle nostre vicende, sarà nostro dovere quello di tenervi informati con tutti i mezzi possibili.
Ieri sera con queste parole ha chiuso la stagione del Baglio di Vito, e da oggi le saracinesche saranno chiuse per un po’.
Abbiamo bisogno di capire se ci sono i presupposti per tenere aperto il “tempio” oppure farsi una nuova vita, magari in una nuova città. Al momento ci sentiamo di esternare il nostro malcontento dicendovi che siamo arrivati al limite, e con grande tristezza lasciamo pubblico, allievi e dipendenti a casa.
Dalla mezzanotte di ieri sera si sono spente le luci al Ditirammu, nelle prossime settimane comunicheremo, attraverso una conferenza stampa, quali saranno le sorti del Ditirammu e della “Palermo, Capitale dei Giovani”. Chissà se i giovani restano oppure se ne vanno.

redazione

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