“Tutte le grandi marche di pasta utilizzano ormai grandi quantità di grano estero non garantito come lo è invece quello siciliano e importato senza controlli di sorta, a partire dal suo arrivo nei porti” lo dice Peppuccio Di Maggio, annunciando che la commissione Sanità all’Ars terrà audizione con l’associazione nazionale GranoSalus, in ordine alle problematiche concernenti l’impatto della cerealicoltura sulla salute dei cittadini. Si annuncia la presenza dell’assessore, Antonello Cracolici, del già direttore generale all’assessorato Agricoltura, l’esperto nel settore Cosimo Gioia, e del presidente l’associazione, Saverio De Bonis”.
“Le sostanze nocive che importiamo insieme con il grano proveniente dall’America del Nord, Usa e Canadà, grano spesso spacciato per migliore e maggiormente digeribile del nostro – riprende il deputato di Alternativa Popolare – sono al limite delle normative europee ma queste stesse – spiega – non possono applicarsi all’Italia ove si consumano grandi quantità di derivati e prodotti di questa graminacea. Al netto del consumo di pane et similia, per esempio, registriamo un utilizzo medio annuo di pasta nei grossi Paesi del nostro continente che tocca i limiti massimi di 5kg. Ed ecco il senso del limite europeo; confine che non può di certo valere per l’Italia e per la Sicilia dove il consumo si attesta sui 30kg all’anno. Insomma, ci avveleniamo, in particolare a causa delle grandi marche che mescolano il grano canadese a quello nostrano fino a portarlo alla soglia del limite generale ma partendo comunque dalla base di sostanze nocive nel frumento importato ben al di sopra delle stesse norme Ue”.
“E tutto ciò, specialmente oggi che il Parlamento continentale ha approvato il Ceta, che liberalizza del tutto le importazioni dal Canada – conclude Di Maggio, rimandando agli esiti dell’audizione di domani in Sanità all’Ars – ha anche una ricaduta micidiale sull’economia isolana, proprio a partire dalla produzione del frumento, fino a quattro anni fa pagato 30 centesimi al chilo e oggi sceso a 17. I risultati hanno già cominciato a farsi vedere sotto forma di fallimento delle aziende e abbandono dei campi biondi i quali, nella Sicilia centro occidentale, rappresentano il 70% dell’intera produzione agricola. Vigneti a parte, il resto è coltura di nicchia”.
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