“Se perdi il lavoro e ti ammali, non ti salva nessuno” storie vere, tragedie che si consumano sotto gli occhi di autoscatti felici di gente che non ha idea dei drammi che si consumano dietro l’angolo o non vuol vederli, in base a quella che gli psicologi chiamano “cecità selettiva”, gli amici spariscono,spaventati da una verità che forse neanche loro sanno gestire, e più di qualche iniziale telefonata di conforto non sanno fare, poi si dileguano come nebbia nel nulla. Gente che pensa solo a tirare sentenze e poi vanno a confessare lo stesso peccato cretino 10000 volte, mentre quello vero, quello di essere stato/a li pronta a sputare sentenze non lo confessano a nessuno, attribuendo responsabilità, colpe, che forse in minima parte hai, non sei stato un bravo timoniere della tua vita, ma se ti ammali e sei solo, senza lavoro e povero non puoi farci più molto. Siamo attorniati da un’umanità assente, degna di fiaccole da palcoscenico, quelle ad impatto emotivo che sembrano produrre cambiamenti immediati, in realtà anche loro sono solo “truffe ad impatto mediatico” orientato a lavarsi la coscienza di quanti fino al giorno prima sapevano e nulla facevano. Gli interventi seri solo dopo che la gente è morta! E neanche direi, interventi temporanei e mai risolutivi, la frase di Confucio:“Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita” assolutamente corretta, ma se non hai le forze per pescare qualcuno ti deve aiutare, altruismo, no, garanzia del diritto alla vita, si! una vita dignitosa, mi indigno dinnanzi a tutto ciò!!!.
l posto di lavoro è a tutti gli effetti una componente di vita importantissima per tutti. Spesso ci si identifica con esso, riempie la giornata, ci fa sentire attivi, dona dignità e, non per ultimo, con il compenso economico collegato si riesce a vivere e ci si sente di far parte a tutti gli effetti di una comunità, dove l’essere e l’avere di erick Fromm tendono sempre di più a coincidere pultroppo. Cosa succede quando si perde il lavoro? Le reazioni a questo evento, che è un vero e proprio trauma sono variabili e soggettive, anche in relazione alla personalità e alla rete sociale che hai attorno. I sintomi più comuni sono : disturbi del sonno, stress, inappetenza, frustrazione, irritabilità, calo di energie, maggiore facilità ad ammalarsi. La sfera dell’autostima ne rimane colpita, il soggetto si sente inadeguato, imbarazzato fino al punto di un progressivo comportamento di chiusura e ritiro sociale, per alcuni lo sconforto è tale da arrivare a pensare al suicidio.Un segno di debolezza, un gesto da condannare, una vergogna da nascondere. È quello che molti pensano del suicidio.
ll suicidio è una delle tante scelte che una persona può fare nella vita, tragica o drammatica che sia, vista come risolutiva di una situazione esistenziale insopportabile; solo raramente se ne può parlare, perché , siamo impigliati nella morale cattolica che considera il suicidio una scelta di viltà, di rinuncia e naturalmente immorale, invece dobbiamo parlarne al di là del giudizio morale.
Il suicidio è la seconda causa di morte in Italia, secondo il prof.re Galimberti non si può parlare neppure di disperazione, perché l’ anima di chi ha fatto questa scelta non è più solcata dai residui della speranza. Cosa passi realmente per la mente di chi decide di togliersi la vita, nessuno può immaginarlo, posiamo solo pensare ad un dolore profondo che non riesce a trovare ne conforto,ne soluzione, un senso di abbandono insopportabile.
I motivi per cui si scegli il suicidio possono essere molteplici, depressione, disprezzo di sé, autopunizione, deliri, manifestazioni di natura psicotica. Non sempre la persona suicida è un debole ma una persona che ha uno stato di coscienza alterato. La comunicazione con chi soffre è spesso rischiosa, perché l’altro può cogliere il nostro essere non sinceri. Anche se giovane, chi ha deciso di morire è sensibile al volto che smentisce la parola, e il suo silenzio smaschera la finzione . Perciò i volti dei nostri figli sono spesso rigidi e pietrificati. Il loro sguardo di pietra vede troppa progettualità nello sguardo degli uomini, troppa speranza che vuole seppellire disperazione.
il loro silenzio va ascoltato perché dice la verità che, con la nostra vita euforica, ogni giorno noi seppelliamo per la gioia della nostra epidermide, il loro sguardo di pietra è un atto d’accusa al silenzio che abbiamo imposto al nostro cuore. Perforando il silenzio è possibile raggiungere quel grido taciuto che è tale perché non c’è parola che possa esprimerlo. Allora il silenzio diventa tumultuoso, e la loro malinconia prende a parlare, non con le nostre parole assolutamente euforiche o inutilmente consolatorie, ma con quelle rotture simili alla lacerazione delle ferite . La scuola non deve mai dimenticare di avere a che fare con individui ancora immaturi, ai quali non è lecito negare il diritto di indugiare in determinate fasi, seppur sgradevoli, dello sviluppo.
Bisogna curare la vita, scrive Andreoli

DI SABRINA MIRIANA