“Nel paese dei ciechi, l’orbo è re”

Alle volte capita che ritorni prepotente nella quotidianità il detto : “nel paese dei ciechi l’orbo è il rè” in cui il mediocre “l’orbo”, sembra eccellere se tutti gli altri con cui viene messo a confronto sono peggio di lui. È quello che accade spesso nei contesti di lavoro, nelle relazioni sociali aimhè, chi sa’ qualcosa in più si differenzia ed emerge, ma se è “orbo” prima o poi incontrerà chi vede, e la sua presunzione o il suo sentirsi superiore, sarà messa a tacere. Un popolo sempre più numeroso di Don Rodrigo e don Abbondio cresce, l’uno espressione del carattere vile e prepotente, l’altro immagine del codardo e di chi viene meno alle sue responsabilità. Manzoni docet, alcuni classici come i “promessi sposi” continuano a raccontare bene quello che ancora accade nella nostra realtà.
Ma tornando alla metafora “nel paese dei ciechi l’orbo è re’” tratta da un racconto e nulla ha a che fare con la disabilità visiva, lungi da me fare qualsiasi riflessione che offenda minimamente chi non possiede il dono della vista.
L’interpretazione del detto qui si colora di toni differenti. Nunez, il protagonista, unico superstite di una spedizione himalayana, arriva in uno strano paese abitato solo da ciechi e crede di poter far valere facilmente la sua superiorità di vedente. Ma la vista, invece di favorirlo, lo rende inferiore:nel paese dei ciechi colui che vede si trova nelle stesse condizioni di un cieco nel paese dei vedenti. La cecità, una volta divenuta norma, è il valore, la vista è invece il difetto, l’handicap che determina l’inferiorità ed emarginazione.
Nunez, incapace di accettare la relatività del suo sistema,si illude di essere superiore e tenta inutilmente di imporre la sua supremazia.
Era stupefacente con quanta sicurezza circolavano nel loro mondo, tutto era stato organizzato per le loro necessità, le intonazioni della voce avevano sostituito le espressioni del viso, il tatto i gesti. I ciechi erano capaci di anticipare ogni movimento di Nuenz, ed ogni suo gesto veniva compreso con una precisione che lasciava Nuenz, spesso perplesso.
Sulle prime il viaggiatore di Wells è sprezzante verso i ciechi, che considera invalidi da compatire;ben presto, però, la situazione si rovescia ed egli scopre che sono loro a vedere lui come un demente, soggetto alle allucinazioni prodotte da quegli organi mobili, irritabili, che ha sulla faccia (organi che nei ciechi sono atrofizzati e concepibili solo come fonte di disturbo e di illusioni).
Come in tutte le storie, accade anche qui che l’amore ci metta il suo zampino, Nuenz, si innamora di una giovane abitante della valle e desidera fermarvisi e sposarla, gli anziani, dopo aver molto riflettuto, acconsentono – purché egli accetti di farsi strappare quegli organi irritabili, i suoi occhi, ma Nuenz non è cosi folle da rinunciare ad un bene cosi importante, sebbene inutile in una realtà in cui viveva, è come rinunciare ad essere se stessi, poco importa se gli altri non ti capiscono, da li devi andartene, e cosi Nuenz fà, và, via. Il suo viaggio nel mondo dei non vedenti lo ha trasformato, capisce che desiderare di avere la supremazia su un disagio degli altri non è edificante, non ti rende un uomo potente, ( pensiamo a quanti invece pensano ed usano tutto ciò per avere il controllo sugli altri) che sia ciò in politica, nelle relazioni lavorative, ed anche in amore sovente.
Il racconto è una metafora della difficoltà dell’adattamento, l’incontro-scontro tra le differenze, ma anche un’occasione per riflettere sull’importanza di saper mantenere la propria identità qualunque sia il contesto in cui ci imbattiamo. Capita di finire in posti dove tutto ciò che per noi è normale li non lo è, dobbiamo imparare a convivere con la diversità, senza ne assumere atteggiamenti di superiorità, ne di eccessiva accondiscendenza, gli occhi servono,nessuno può chiederci di strapparceli, sono la mente con la quale vediamo e filtriamo il mondo, è come se ci chiedessero di non essere più “esseri pensanti”. Guai se un privileggio diventasse motivo di contrasto per chi è in difficoltà, il sistema “normale” dell’altro ci schiaccerebbe, perchè il concetto di normale e anormale, alla fine è veramente relativo. Ci sono sistemi che vanno accettati per quello che sono. Sapersi muovere con delicatezza e gentilezza nei vari contesti fa la differenza tra gli esseri umani. La metafora può essere oggetto di tante interpretazioni, nessuna è realmente esaustiva, ma credo tuttavia che avere generato curiosità e possibilità per discquisire su questo interessante tema è sempre un’occasione di crescita.

Sabrina Miriana

redazione

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