Caccamo. Era accusato di avere dato alle fiamme la lapide marmorea della tomba del padre del pentito Nino Giuffrè. Svolta nel processo: il giudice lo assolve in primo grado per non avere commesso il fatto. R. M., trentacinquenne, disoccupato di Caccamo, è stato assolto dal Tribunale di Palermo, Seconda Sezione Penale, nel procedimento che lo vedeva imputato per danneggiamento a seguito di incendio e vilipendio di tomba, con l’aggravante di avere agito per favorire l’associazione mafiosa. Lo stesso collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè aveva chiesto un cospicuo risarcimento danni. Secondo l’accusa, R. M., la notte tra il 27 e il 28 maggio del 2010, si sarebbe introdotto nel cimitero comunale di Caccamo, insieme ad altri soggetti mai identificati, per poi incendiare la tomba di Salvatore Giuffrè, padre del noto collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè, detto “Manuzza”, arrestato il 16 aprile 2002 dai carabinieri. Lo scopo -secondo gli investigatori- era quello di favorire l’organizzazione di Cosa Nostra. Dopo sette lunghi anni dai fatti, adesso il Tribunale penale, presieduto dal dott. Fasciana, lo ha assolto con formula piena. Secondo la tesi della difesa, portata in aula dall’avvocato Giuseppe Canzone, e poi accolta dal tribunale, le risultanze dibattimentali non consentivano di attribuire il fatto all’imputato, per l’inconsistenza del materiale probatorio a carico. All’epoca, subito dopo poche ore dai fatti, gli inquirenti avevano rivolto le loro attenzioni verso Il trentacinquenne caccamese. Motivo: avrebbero visto l’uomo aggirarsi tra i loculi. Infatti, durante uno dei sopralluoghi effettuati l’indomani dell’episodio dai Carabinieri di Caccamo all’interno del cimitero, i militari avrebbero visto l’imputato entrare all’interno del cimitero da un cancello secondario, per poi fermarsi per qualche minuto a pochi metri dall’area dei loculi. “Già tale circostanza -dichiara il difensore, l’avvocato Giuseppe
Francesca Giunta
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