La bella e la bestia e la paura dell’abbandono

In attesa dell’uscita nelle sale cinematografiche, tanto attesa del film “La bella e la bestia”di Bill Cordon , storia deliziosa di uno strano incontro, tra anime apparentemente diverse, dove viene raccontato l’amore che conosce e riconosce la gentilezza, i buoni sentimenti e non l’apparenza , andando oltre l’aspetto delle cose, una riflessione sul senso e la paura dell’abbandono.
Capita nella vita che tutto ad un tratto si scatena una bufera che mette scompiglio in quell’ordine già fragile fatto di quotidianità semplice, e sperimenti quella cosa tremenda che senti raschiarti l’anima come fosse carta vetrata, si chiama abbandono.
Un vuoto dentro te, che sembra incolmabile, un abbraccio mancante, uno sguardo assente, un sorriso che non vedi più aprirsi nel viso di quel qualcuno che amavi.
Forse era presenza-assenza, eppure la sua assenza materializzata diventa una presenza insopportabile.
Cosi pensi per dare un senso a ciò che ti stà capitando, che forse bisogna perdersi per ritrovarsi, in un gioco malefico di acchiapparello e nascondino, giochi che ti piacevano da bambina/o, ma non in amore, una magra consolazione della mente.
Se ami qualcuno devi lasciarlo libero, perchè possa capire in un momento di vuoto esistenziale, cosa sente per te, se è ancora amore o solo abitudine.
Qualcuno scrive che ogni tanto serve percorrere un cammino di libertà reciproca, chi ama torna sempre, chi non torna non ha mai amato e non ti è mai appartenuto.
Capita dunque di essere abbandonati all’improvviso, o forse eri già stato abbandonato, ma ti accontentavi delle briciole. Chi ti ha abbandonato non ha più paura della paura ed una ragionevole follia si impadronisce di lui /lei per farlo partire, per andarsene da dove non riusciva ad andarsene, senza troppe spiegazioni. Chi resta vive nello sgomento di una porta che si è chiusa e non sai veramente perchè, provi a darti delle responsabilità, oppure semplicemente dici : “non era amore”.
Quando ci si sente abbandonati, si prova disperazione, vergogna, inadeguatezza, incapacità. Si scopre che non è più il momento dell’essere benevoli, affettuosi, qualcuno ci ha messo difronte ad una realtà da cui non possiamo più sfuggire, e allora non resta scrive Elena Ferrante, nel suo bellissimo libro “i giorni dell’abbandono” che occorre reimaparare a sentire il passo tranquillo di chi crede di sapere dove stà andando e perchè, solo l’autodeterminazione e la forza diventano strumenti di riappropriazione di sé, di un sé frantumato.
Quando l’essere umano soffre si scopre inesperto dinnanzi al proprio smarrimento. Incespica, perde i propri confini e precipita in un senso di vuoto. Nel caos calmo il monito da ripetersi sempre è “lui/lei è andato/a via tu resti, e se resti devi riappropiarti di una vita che hai perso e che devi ritrovare. L’abbandono improvviso ti lascia inebetito, davanti ad una porta che si chiude senza che te lo aspetti e che continui a guardare sperando che si riapra, ti accorgi e pensi che la fame d’amore può diventare fame di morte, quindi forse è stato un bene.
Nell’attesa di memoria bechettiana , non c’è uomo su questa terra che non cerchi risposte o che non si tormenti cercando risposte, quelle che forse dovrebbe dare Godot.
Le reazioni all’abbandono possono essere molteplici, lucida follia, rabbia violenta. Alcune volte il silenzio come nel bellissimo libro di Veronesi “caos calmo”. Nel film caos calmo, la reazione del protagonista alla morte improvvisa della moglie è di una calma composta, nessun cenno di sofferenza, mentre dentro di lui c’è calma, attorno a lui si agita un caos incredibile, si ragiona continuamente sul significato delle cose reversibili e di quelle irreversibili, l’abbandono è legato ad un lutto, la perdita di una persona o all’allontanamento, apparentemente sembrano situazioni verse, ma non lo sono realmente, che una persona vada via perchè muore o perchè si è allontanata c’è sempre un lutto da elaborare, certo una rientra nelle cose irreversibili, l’altro in quelle reversibili. L’elaborazione del lutto avviene dentro lo spazio dell’attesa, un attesa che si consuma in giornate apparentemente uguali, in realtà anche nell’apparente non fare stiamo facendo delle cose, lo scrive Roland Barthes “ho avuto l’ordine di non muovermi”.In questa attesa scopri che poco conoscevi l’altro, quasi come se eravate perfetti sconosciuti e poco conosci te stesso.
Ti metti cosi in una panchina, seduto come nel film “caos-calmo”ad aspettare, luogo dove elaborare .
Come dice la canzone dei Radiohead “siamo solo incidenti in attesa di capitare”. Prima o poi gli incidenti capitano, nel trambusto l’importante è dirsi siamo qua nonostante tutto, è la migliore rivincita contro gli incidenti inaspettati che ti cambiano, alcune volte ti migliorano, altre volte ti rendono peggiori, altre semplicemente ti attraversano, solo molto tempo riconosci che sei cambiato/a.

Sabrina Miriana

redazione

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