Si è appena concluso il periodo dell’anno tanto aspettato per festeggiare il carnevale, un usanza antica di feste, balli, travestimenti che coinvolgono grandi e piccini in un gioco che sembra non finire, visto che anche i coriandoli ce li riportiamo ovunque anche nei giorni a seguire, senza capire più quanti sono, continuano a colorare i nostri abiti ed il nostro cammino.
La parola carnevale deriva dal latino carnem levare (eliminare la carne) a voler ricordare il periodo che seguirà in cui si osserverà il digiuno dalla carne che precede la Quaresima, periodo di penitenza e riflessione, un ciclo che si ripete sotto varie forme da quando l’uomo ha cominciato ad essere un’essere pensante.
La storia del carnevale è molto antica, la si fa risalire alle feste dionisiache, dove si voleva realizzare un temporaneo scioglimento degli obblighi sociali, un rovesciamento dell’ordine e una festa dello scherzo, dove poter essere ciò che nella quotidianità non si era, un momento di frivolezza a cui non si poteva rinunciare e lasciarsi andare.
Finito il carnevale, sembra che restino solo maschere ambulanti in cerca d’autore, insomma anime che continuano a mascherarsi ma nella vita reale, assumendo ruoli, comportamenti di circostanza che spesso nulla hanno a che vedere con la propria indole. Ciò spiega il perchè di sempre più disagi relazionali, coppie incapaci di durare a lungo, persone che dichiarano di non riconoscersi più, di non avere mai capito chi forse erano veramente
La vita è sempre più vista come un palcoscenico da teatro, dove si tenta di volere esibire la parte migliore di sé, ma prima o poi i difetti coperti dal trucco emergono, perchè infatti nel teatro resta protagonista inattaccabile chi incarna bene il suo ruolo essendo se stesso fino in fondo .
Perchè questo bisogno di mascherarsi forse che questa non sia una pratica che facciamo tutti i giorni? L’essere come diceva Pirandello “uno, nessuno centomila” ci accompagna forse 365 giorni all’anno.
Volere incarnare un altro ruolo e personaggio è questo che facciamo a Carnevale, decidiamo sempre con cura di chi travestirci, c’è una sorta di desiderio di emulazione di quello o quell’altro personaggio che possiede qualche caratteristica a noi vicina o che vorremmo tanto avere, sebbene spesso si finisce per essere veramente ridicoli, nei panni di chi non ci appartiene. Ma il pretesto del Carnevale è solo un’occasione per parlare delle nostre identità sempre più frantumate, in alcuni casi multiple, degne di essere studiate da psicologi e psichiatri. Chi siamo veramente? In un gioco di specchi, ci domandiamo continuamente chi sono come diceva Alice nel paese delle meraviglie? Costretta a continue trasformazioni.Dove stò andando? È possibile che in alcune circostanze per rimanere dove siamo, dobbiamo correre più forte? Chi è l’uomo e la donna moderna un’essere senza qualità come scriveva Musil? O insieme di “identità fragili” dirà Vittorio Andreoli. Di questa fragilità dovremmo rivedere i lati positivi, ciò che è fragile è delicato, non và necessariamente associato a qualcosa di debole, è qualcosa di cui aver cura, come un vaso di murano in mani inadatte si rompe scrive Andreoli lo stesso può accadere nella nostra vita.
Siamo fragilità che vanno sapute maneggiare, accarezzare, qui stà il segreto della costruzione nel tempo di identità, che sanno gestire gli eventi senza essere costretti a mascherarsi di abiti di vita che realmente non gli appartengono. Buon inizio di Quaresima, tempo di riflessione.

Sabrina Miriana