I carabinieri del R.O.S. hanno eseguito un decreto di confisca, emesso dal Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione su richiesta della locale Procura Distrettuale nei confronti dell’imprenditore Giuseppe Ferrante e del collaboratore di giustizia Francesco Franzese, già reggente della famiglia di Partanna-Mondello.
Il valore stimato dei beni, in parte già sottoposti a sequestro preventivo da questo Reparto nel corso delle attività investigative condotte tra il 2009 ed 2011, ammonta a circa 10 milioni di euro ed sono costituiti dall’intero capitale sociale e relativo complesso di beni aziendali di nr.2 società edili con sede in Palermo (F.G. RIUNITI s.r.l. e FIN.MA. s.r.l.), partecipazioni societarie, immobili in Carini e Palermo, rapporti bancari e polizze vita.
A Giuseppe Ferrante è stata irrogata pure la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni due e mesi sei.
Il collegio ha accertato che quest’ultimo aveva costruito la propria fortuna economica esclusivamente con l’appoggio di esponenti mafiosi con i quali si era sempre affiancato per ottenerne indubbi vantaggi, incarnando a pieno titolo il profilo dell’imprenditore “colluso” in grado di condizionare negativamente le libertà di mercato e di iniziativa economica. E’ stato così riconosciuto il rapporto societario di fatto, emerso nel corso delle indagini, che consentiva a Giuseppe Ferrante, unico titolare formale, di avvalersi del ruolo in Cosa Nostra ricoperto dal socio occulto, Francesco Franzese, che lo facilitava nei pagamenti, nel reperimento dei fornitori – a loro volta legati all’organizzazione mafiosa – e nella possibilità di effettuare le opere.
Senza l’intervento dell’ex reggente della famiglia di Partanna-Mondello, che in virtù del suo prestigio mafioso aveva peraltro coinvolto l’allora latitante Sandro Lo Piccolo, l’imprenditore non avrebbe mai potuto realizzare taluni progetti cui era pure interessato Vincenzo Graziano, costruttore strettamente legato alla storica famiglia dei Madonia, egemone sul mandamento di Resuttana. L’esistenza del rapporto con Francesco Franzese, che fungeva di fatto da “garante”, aveva inoltre agevolato l’acquisto di terreni, inducendo il proprietario ad effettuare la vendita a condizioni più vantaggiose.
Per un certo periodo, peraltro, l’esponente mafioso era stato assunto come capocantiere dal costruttore, sia per mascherare l’effettivo ruolo da lui rivestito ma, soprattutto, per consentire al primo di potersi recare fuori dal territorio comunale di Palermo ove era confinato dall’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Nell’arco temporale in cui Francesco Franzese era divenuto latitante la moglie di questi aveva consegnato a FERRANTE Giuseppe un’ingente somma di denaro che, almeno in parte, proveniva direttamente dalla cassa dell’organizzazione mafiosa.
Il costruttore, mostrando una trasversalità nei rapporti con esponenti inseriti o gravitanti in Cosa Nostra, era in precedenza stato legato a Eugenio Rizzuto, all’epoca reggente del mandamento della Noce, quindi a Giovanni Galatolo, nipote del noto Vincenzo Galatolo già capo della famiglia dell’Acquasanta, e – dopo la cattura di Francesco Franzese – si era avvicinato a Giuseppe Biondino del 1977, appartenente alla famiglia di San Lorenzo nonché figlio del più noto Salvatore Biondino già capo dell’omonimo mandamento e autista di Salvatore Riina all’atto della cattura di questi.
In tal senso è stato dimostrato che il rapporto occulto con Francesco Franzese non era un fatto isolato, determinato magari da rapporti di mera frequentazione o disinteressata amicizia, ma una sorta di modus operandi che consentiva a Giuseppe Ferrante di approfittare in materia determinante e non occasionale del rapporto intrattenuto con esponenti mafiosi per svolgere la sua attività economica.
Il ruolo di Giuseppe Ferrante è stato disvelato dalle concordi dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Manuel Pasta, Andrea Bonaccorso e Antonino Nuccio che hanno confermato quanto riferito dallo stesso Francesco Franzese. Quest’ultimo ha nondimeno rischiato di vedersi revocare lo status di collaboratore di giustizia per avere cercato di acquisire gli utili di una delle società di cui era socio occulto, spingendosi addirittura ad incontrare il suo ex sodale a Roma nell’ottobre del 2010.
Il medesimo imprenditore, sulla scorta delle acquisizioni prodotte all’esito delle precedenti investigazioni, in data 28.10.15 è stato altresì riconosciuto colpevole del delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita e condannato alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione, 1.000,00 euro di multa e all’interdizione dai pubblici uffici per anni 5. Si è invece prescritta l’imputazione di trasferimento fraudolento di valori.