Riandando con la memoria alla descrizione di Angelina Lanza del panorama da lei ammirato dalla cima più alta dei nostri monti, l’Antenna, il termine sfruttamento, spesso usato per indicare l’utile di una fruizione remunerativa del territorio, se riferito a tanta e tale bellezza panoramica appare un po’ una profanazione. Così la nota scrittrice, madonita di adozione anche in virtù della bellezza di un paesaggio che eleva l’anima a Dio mentre appaga la vista: «Certo, di qua, luminoso, azzurro, vastissimo, m’appariva il Tirreno con le sue natanti Eolie. E la terra stessa mi pareva un oceano di enormi ondate immobili e luminose. Non città, non villaggi, né campi, né vie, né selve, né fiumi nella gran luce. Sole, e monti azzurri, e nebbia d’oro. Pareva il luogo e l’ora della creazione prima»

Questo brano, di immensurabile valore poetico, ci ammonisce sul senso e sul fine della bellezza, onde essa va salvaguardata e protetta non per la ricaduta economica derivante dal probabile apprezzamento turistico, ma perché riporta  l’esistenza all’essenza dell’essere umano a immagine e somiglianza del Creatore, come l’incanto della visione da lassù sulla Madonia (così la Lanza denomina sempre il massiccio montuoso) riporta al momento primigenio della creazione. E questo, che avviene sempre di fronte alle meraviglie della natura, si verifica anche di fronte alla bellezza creata dalle mani dell’uomo, soprattutto nel coniugio tra natura e arte, di cui nel nostro territorio non è  per nulla raro fare esperienza, da Cefalù a Ganci, a Castelbuono, alle Petralie, a Geraci, e perfino nel piccolo borgo di Gratteri, nel cui territorio i resti di quella che fu una fiorente e rinomata abbazia premonstratense sono fatte risaltare dal Backmund nella solitudine di un incantevole sito. Un territorio, il nostro, che non abbisogna di manipolazioni mercantili per attrarre visitatori votati al turismo culturale, essendo esso meritevole e degno di essere conservato nella sua conformazione originaria come patrimonio dell’umanità.

La bellezza riscatta l’uomo, come unico soggetto vivente in grado di comprenderne il valore e di realizzarla con le proprie facoltà intellettive e manuali, mentre è garanzia della sua libertà espressiva, che mai può essere censurata quando in essa riesce oggettivamente a sublimarsi. In riferimento al suo valore venale ha senso parlare di costi, per il suo sussistere, piuttosto che di ricavi legati alla sua esistenza. E i costi non sono mai troppi se servono a salvaguardare beni la cui perdita equivarrebbe a un irreparabile danno sul lato più peculiare dell’identità umana, che è quello della dimensione estetica dello spirito. Perché i beni naturali e artistici non sono neutri nel processo evolutivo della civiltà, come sta a dimostrare la pluralità delle culture, indotta certamente dalla varietà dei fattori ambientali, il cui stravolgimento, come avviene nei casi di cementificazioni selvagge e di alterazioni improvvide del paesaggio, equivarrebbe a un vero e proprio genocidio culturale.

La bellezza non è mercificabile. Assoggettarla alle ferree leggi di una economia di mercato, in cui ha valore solo ciò che genera profitto, equivale a rendere praticabili sui beni materiali che la esprimono manipolazioni scriteriate, fino al  suo annullamento. Con ciò non intendiamo negare la liceità di ritenere i beni culturali, quelli naturali e quelli artistici, una risorsa anche economica. Ma desideriamo sottolineare la improprietà semantica del termine sfruttamento in riferimento ad essi. Soprattutto se a pronunciarlo sono gli operatori del turismo commerciale, per i quali conta soltanto il numero delle presenze e non la qualità dei visitatori. Che, invece, vanno selezionati, non in senso economico s’intende, ma con riferimento alla compatibilità delle loro esigenze ludiche con la peculiarità dei luoghi, compreso il patrimonio di beni culturali in essi esistenti.

L’ incompatibilità del turismo con l’ambiente nasce di solito dalla pretesa di sostituire tale attività alle tradizionali attività primarie, che invece il turismo, quando è ben commisurato alle potenzialità del territorio,  può far rifiorire dove erano decadute. D’altra parte, l’assenza in loco di prodotti utili alla ristorazione comporta costi che fanno lievitare le tariffe alberghiere, con conseguente calo di presenze. Le programmazioni, quindi, ne debbono tenere conto se non si vogliono creare situazioni di dissesto territoriale irreversibile e senza un  futuro congruo con le speranze nutrite all’atto della trasformazione.

Il territorio delle Madonie ha potenzialità di progresso e di sviluppo certamente elevate. Non occorre, quindi, lambiccarsi il cervello su come “sfruttare” le risorse, naturali e artistiche, di valenza turistica per dare speranza di vita alle giovani generazioni. Si pensi piuttosto a salvare il patrimonio di beni ambientali per il valore che essi hanno in assoluto. Senza sfruttamenti tanto improvvidi quanto devastanti. Soprattutto sul lato della dimensione estetica. Perché è la bellezza Il fine primario dell’esistenza umana.

GIUSEPPE TERREGINO