Rapporti più organici e stretti tra sindacati, Agenzia dei beni confiscati, Tribunale misure di prevenzione, amministratori giudiziari per intervenire già dal primo giorno del sequestro di un’azienda ed elaborare un piano industriale che salvaguardi l’attività produttiva e l’occupazione. E’ una delle richieste emerse oggi alla riunione del Coordinamento sulle aziende sequestrate e confiscate alla mafia, che si è svolta alla Cgil di Palermo. All’incontro, il primo dopo la bufera che ha investito i vertici del Tribunale misure di prevenzione e il ruolo dell’amministratore giudiziario, ha partecipato Luciano Silvestri, responsabile Legalità e Sicurezza della Cgil nazionale e sono intervenuti i segretari di tutte le categorie coinvolte nella assistenza alle aziende confiscate, dalla Fillea alla Filcams alla Flai.
La Cgil, che assiste i lavoratori di numerose aziende confiscate, chiede l’applicazione di modelli gestionali che superino i limiti e gli errori di un passato condizionato da una visione troppo “burocratica” e poco imprenditoriale, ai fini di una corretta conduzione delle vertenze. Rivendicando un’esperienza ormai decennale nei sequestri seguiti, il sindacato propone la sua collaborazione come punto di riferimento nell’elaborazione tecnica, per evitare che con la confisca definitiva, come accade nel 90 per cento dei casi, le aziende chiudano. “In un’economia debole e fragile come la nostra, non possiamo permettere la perdita di posti di lavoro ma dobbiamo fare di tutto perché queste aziende abbiano un futuro – ha detto il segretario della Cgil Enzo Campo – Noi faremo la nostra parte. Con Cisl e Uil e altri soggetti della partecipazione attiva lavoreremo a un protocollo da sottoporre al Tribunale di Palermo. E programmeremo iniziative comuni con le associazioni, come è accaduto per il sit-in di sostegno a Gelato In, a Bagheria. L’idea del sindacato è di coinvolgere nel coordinamento anche le Rsu delle aziende”.
L’obiettivo è far si che le quasi 400 aziende sequestrate a Palermo restino in attività. Dopo aver superato i “costi della legalità”, la messa in regola de dipendenti, l’evasione contributiva, i permessi sanitari, il passaggio alla confisca per le aziende che ci arrivano è il più delicato. “Ma non è mai accaduto che un’azienda sequestrata sia stata messa in condizioni di partecipare a una gara d’appalto – ha aggiunto il componente di segreteria Mario Ridulfo – Lo Stato, per fare un esempio, ha investito sull’Ati Group pagando, in 13 anni, 1 milione in ammortizzatori sociali. Anche per questo, non è ammissibile fare chiudere le imprese. Spesso alcune aziende sequestrate, come le Immobiliari, si sono rivolte a ditte esterne per le manutenzioni e le ristrutturazioni, non attingendo alle aziende edili in amministrazione giudiziaria. Attorno alle confische di solito scatta il cordone sanitario della mafia. Noi vogliamo invece creare una rete di protezione ancora più forte. Un circuito virtuoso in cui l’antimafia aiuti l’antimafia”.
La realtà denunciata dalla Cgil ha visto il sindacato chiamato a intervenire spesso troppo tardi, amministratori non disponibili a fornire i dati dei libri contabili delle aziende, e amministrazioni giudiziarie che nei momenti di difficoltà di un’azienda hanno scaricato sui lavoratori la responsabilità, spingendoli a costituire cooperative per tentare di evitare una chiusura o un fallimento.