Le stime di consuntivo per il 2014 assegnano all’economia del Mezzogiorno il settimo calo consecutivo, e a quella del Centro/Nord una titubante uscita dal ciclo recessivo. L’anno si è chiuso per l’economia nazionale con un calo del prodotto interno lordo dello 0,4%, in netta moderazione rispetto al biennio precedente. Il PIL dell’area centro settentrionale realizza un incremento dello 0,2%, quello dell’area meridionale e insulare registra invece una flessione dell’1,3% rispetto all’anno prima, sprofondando ad un livello inferiore del 14,5% rispetto al 2007. Per il 2015 le previsioni indicano una crescita annua del prodotto interno lordo su scala nazionale prossima allo 0,5%. Proseguono, tuttavia, andamenti asimmetrici, con l’area meridionale e insulare ancora intrappolata nella recessione e il Centro/Nord in cui tendono lentamente a rinsaldarsi i lievi cenni di recupero affiorati lo scorso anno: il PIL del Mezzogiorno è previsto infatti diminuire dello 0,4% e quello dell’altra ripartizione aumentare dello 0,7%. Questi solo alcuni dei dati emersi oggi all’Università degli Studi di Palermo nel ventottesimo Report Sud, dal titolo “Fuori dalla recessione il Nord! Ma il Sud arranca”, realizzato da DiSteConsulting. Hanno preso parte l’Economista e Ordinario dell’Universita’ di Palermo Pietro Busetta, il Presidente Diste Consulting Alessandro La Monica, il Direttore Dipartimento Economia, Università Degli Studi Di Palermo Fabio Mazzola. Gaetano Armao dell’Università Degli Studi Di Palermo, Maurizio Bernava della Segreteria Nazionale CISL, il Direttore del Cerisdi Salvatore La Rosa, e il Responsabile delle Politiche cittadine di Palermo del Pd Pippo Russo.
“Stupisce se il Mezzogiorno arranca? – afferma il Presidente della Fondazione Curella Pietro Busetta – Bisognerebbe stupirsi del contrario. Un Paese ancora nordstrabico che ha deciso di tagliare il Mezzogiorno come una parte da asportare. Un Paese che concentra i suoi interventi nella sua parte ricca, ultimo esempio expo 2015, non può che stare a guardare un Mezzogiorno che se non affonda è un miracolo! Un grande territorio che, con le sue eccellenze, rimane un unicum di sottosviluppo. Altro che tanti Mezzogiorni. Ci vuole ben altro, come ha dimostrato la Germania, per risolvere un problema così ampio ed antico. Il Paese non ha né la cultura né la forza!” .
“Qualcosa si muove pure nel Mezzogiorno – dichiara Alessandro La Monica, presidente di Diste Consulting – Guardando gli andamenti su scala territoriale emerge, a mio avviso, che oggi esistono dei segnali estremamente variegati, con situazioni di eccellenza che coinvolgono anche il Mezzogiorno, e un mercato del lavoro che in alcune realtà sta dando qualche timido segnale di recupero, anche se poi i dati medi sull’occupazione rimangono tragicamente negativi”.
Consuntivo 2014. Il 2014 si è chiuso per l’economia nazionale con un calo del prodotto interno lordo dello 0,4%, in netta moderazione rispetto al biennio precedente. Il risultato è la sintesi di un ristagno dei consumi, di una flessione degli investimenti e di un contributo moderatamente positivo della domanda estera netta. Il valore aggiunto in termini reali è regredito nell’agricoltura, nell’industria e nelle costruzioni, mentre è risultato in lieve aumento nei servizi. Le stime di consuntivo per il 2014 predisposte dal DISTE con riferimento ai due grandi aggregati geografici in cui è solitamente scomposta la realtà italiana, assegna all’economia del Mezzogiorno il settimo calo consecutivo, e a quella del Centro/Nord una titubante uscita dal ciclo recessivo. Il prodotto interno lordo dell’area meridionale e insulare registra una flessione dell’1,3% rispetto all’anno prima, sprofondando ad un livello inferiore del 14,5% rispetto al 2007. Il PIL dell’area centro settentrionale realizza un incremento dello 0,2%, dopo un biennio negativo, annotando una perdita del 6,9% rispetto a sette anni prima. I consumi delle famiglie sul territorio economico del Mezzogiorno arretrano ad un ritmo dell’1,2% chiudendo con un bilancio alleggerito nell’arco di sette anni del 14,4%. I consumi famigliari sul territorio centro settentrionale conseguono un primo cambiamento positivo, recuperando una piccola porzione (+0,7%) della perdita accumulata negli anni passati (-4,6% tra il 2007 e il 2014). Continuano ad andare male gli investimenti fissi, in particolare quelli in costruzioni, che hanno un crollo (del 4,4%) per il decimo anno di seguito; nel Centro/Nord la caduta è ancora più consistente (-5,0%), concludendo una sequenza di sette flessioni annue consecutive. Meno peggio ma pur sempre in discesa sono gli investimenti in beni strumentali, che scontano riduzioni del 2,4% nel Sud/Isole e dell’1,3% nell’area centro settentrionale. Per quel che riguarda i rami di attività, emergono cedimenti pressoché ovunque, anche se nella maggior parte meno preoccupanti degli anni passati. Nelle costruzioni il valore aggiunto ha un nuovo calo, stimato dal DISTE al 3,1% sull’anno precedente (-3,8% nell’area centro settentrionale), che porta il crollo del settennio al 37,3% a fronte di una perdita cumulata del 26,8% nel Centro/Nord. Il valore aggiunto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca si riduce dell’1,9% nel Sud/Isole e del 2,3% nel Centro/Nord. Il consuntivo dell’industria in senso stretto arretra dell’1,5% (-0,4% nell’altra area), concludendo i sette anni di crisi con una contrazione del 26,8% contro un -15,4% nell’altra ripartizione. Nel ramo dei servizi il valore aggiunto cede l’1,1% rispetto al 2014 e il 9,0% rispetto a sette anni fa; viceversa, nel Centro/Nord si compie un’inversione di tendenza, con il valore aggiunto che esibisce un recupero dello 0,6% sull’anno prima e un bilancio settennale che chiude a -1,9%. Gli squilibri sul mercato del lavoro si sono ulteriormente aggravati. Il numero degli occupati nell’intera economia meridionale e insulare scende a 5 milioni 856,2 mila unità, pari ad una flessione annua di 45.000 unità e alla scomparsa in sette anni di 610 mila posti di lavoro (-9,4% il tasso cumulato). Nel Centro/Nord l’andamento dell’occupazione è più favorevole, riportando un incremento di 133.000 posti di lavoro sull’anno prima, e una perdita risibile al confronto del 2007. Il tasso di disoccupazione continua a crescere, giungendo al 20,7%, un tasso mai toccato dagli anni settanta e quasi doppio di quello del 2007. Nell’area centro settentrionale l’indicatore sale al 9,4% convergendo sui livelli sperimentati dall’economia meridionale all’inizio degli anni ottanta.
Previsioni 2015. Sul mercato del lavoro non paiono ancora esservi i presupposti per un recupero della domanda di occupazione. L’esigenza di tenere i costi sotto controllo, in un contesto di sostanziale atonia dei consumi, farà pendere ulteriormente la bilancia a tutto svantaggio della creazione di posti di lavoro, e in particolare dell’assunzione dei giovani e delle persone in età matura. Le proiezioni per l’area meridionale e insulare continuano pertanto a registrare performance deludenti, tanto per l’occupazione, prevista tuttavia scendere ad un tasso dimezzato rispetto all’anno prima (-0,4%) quanto per il tasso di disoccupazione, atteso aumentare al 21,7% dal 20,7% dell’anno precedente. Nel Centro/Nord, per contro, l’occupazione potrebbe incrementarsi nella stessa misura dell’anno passato (+0,8%), mentre il tasso di disoccupazione aumenterà di 0,2 punti portandosi a quota 9,6%. Negli ultimi sei anni l’apparato produttivo del Sud/Isole ha subito la cessazione di circa 63.500 imprese (-3,7% tra il 2008 e il 2014), e quello localizzato nell’area centro settentrionale ha assistito alla scomparsa di circa 104.200 unità di produzione (-2,9%). Ad accusare di più i contraccolpi della recessione sono soprattutto le imprese artigiane, il cui numero è sceso a fine 2014 a 341.850 unità, 9.591 in meno di un anno prima, con un tasso di variazione (-2,7%) in assoluto il più consistente degli ultimi sette anni. Con l’inizio della primavera le aspettative sull’economia italiana sembrano essere nel complesso migliorate, in virtù del calo del prezzo del petrolio, del deprezzamento dell’euro, del lancio del Qe, della decisione della Commissione europea di rendere più flessibili i vincoli di bilancio. Tuttavia, permangono non pochi motivi d’incertezza. Fra i rischi che potrebbero far deragliare la ripresa sul nascere vi sono le tensioni geopolitiche, soprattutto quelle libiche ma anche quelle della Grecia, il protrarsi di un’inflazione bassa o addirittura negativa, una troppo lenta realizzazione delle riforme. Si aggiungano i dubbi sull’esito dell’ondata di liquidità decisa dalla Bce, e quindi sulla concreta possibilità di riattivare la domanda famigliare e aziendale, e scardinare la ritrosia delle banche – nutrita anche dall’alto livello degli incagli – ad allargare significativamente i cordoni della borsa. Per le previsioni 2015, gli enti e le istituzioni di ricerca convergono nel tratteggiare un alleggerimento della crisi e un recupero molto modesto del prodotto interno lordo. La rianimazione della produzione sarebbe sostenuta quasi del tutto dall’export, e solo in marginale misura dalla domanda interna di consumo e investimento. Le esportazioni beneficeranno del deprezzamento dell’euro, ormai avviato verso la parità con il dollaro. Per chi ricorda i picchi raggiunti dalla moneta, attorno a quota 1,60 dollari, il cambio attuale può apparire assai debole. Ma alla nascita l’euro andò sotto la parità, fino a sfiorare 0,80 centesimi di dollaro. L’analisi sulla evoluzione dell’economia fino al periodo più recente, condotta nel corso del Report, non sembra suggerire la rappresentazione di uno scenario 2015 diverso da quello appena delineato. I dati sulla produzione industriale a inizio anno, piuttosto negativi, potrebbero semmai far slittare di qualche mese l’avvio della possibile schiarita congiunturale.E in effetti, il DISTE stima per gennaio/marzo 2015 il ristagno del PIL in prossimità dei livelli di fine 2014, cui segue dalla primavera un progressivo miglioramento che nell’ultimo trimestre produce incrementi dello 0,7% su base congiunturale e dell’1,5% in termini tendenziali. L’esercizio previsionale macroeconomico – sviluppato senza ipotizzare nuovi interventi oltre a quelli già implementati o programmati, né immaginare shock esterni – perviene quindi ad una crescita annua del prodotto interno lordo prossima allo 0,5%. Le proiezioni su scala territoriale continuano a segnalare andamenti asimmetrici, con l’area meridionale e insulare ancora intrappolata nella recessione e il Centro/Nord in cui tendono lentamente a rinsaldarsi i lievi cenni di recupero affiorati lo scorso anno: il PIL del Mezzogiorno è previsto infatti diminuire dello 0,4% e quello dell’altra ripartizione aumentare dello 0,7%. Dal lato della domanda interna, i consumi delle famiglie residenti dovrebbero registrare una flessione dello 0,5%, in forte decelerazione rispetto ai cali precedenti, cui corrisponderà nell’area centro settentrionale un incremento dello 0,8%. Per gli investimenti in beni strumentali si prevede l’interruzione della tendenza riduttiva, a fronte di un aumento dell’1,3% nel Centro/Nord; per gli investimenti in costruzioni, invece, si stimano ulteriori riduzioni sia nel Sud e Isole (-2,0%) che nell’altra ripartizione (-1,4%). Sul fronte della produzione, il valore aggiunto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca – dopo circa un decennio in ritirata – dovrebbe riacquistare un +2,0% e quello dell’industria ritornare in zona positiva nel Mezzogiorno (+0,5%) e ancor più nel Centro/Nord (+1,3%). Nel ramo delle costruzioni il valore aggiunto prodotto subirà una nuova raschiatura in entrambe le aree (-1,5% nel Sud e Isole e -0,8% nel Centro/Nord), mentre nel ramo dei servizi si sconta un cedimento dello 0,6% contestualmente ad un aumento dello 0,6% nell’altra ripartizione.